Neuropsicologia e COVID-19. Le conseguenze a lungo termine della pandemia

Lettera aperta al Ministro della Salute

L’Associazione Italiana Specialisti in Neuropsicologia sta lavorando con il consiglio dell’Ordine degli Psicologi, affinchè, in seguito alle conseguenze della pandemia Covid-19, si provveda alla assunzione di psicologi per far fronte ai bisogni dei pazienti e dei cittadini. 
Relativamente al nostro ambito, assieme, alle società scientifiche di psicologi dell’area Neuropsicofisiologica, abbiamo inviato una lettera aperta al Ministro della Salute.

Signor Ministro,

In qualità di presidenti delle società scientifiche di area neuropsicofisiologica desideriamo illustrarLe le condizioni dei servizi sanitari nazionali che operano in ambito neuropsicologico e descrivere gli scenari clinici conseguenti alla diffusione della epidemia da SARS-CoV 2 al fine di meglio programmare i servizi di neuropsicologia.

Come tutti gli psicologi anche gli psicologi di area neuropsicologica, fin dalle prime fasi della diffusione della pandemia in Italia, si sono mostrati disponibili a fornire supporto al personale sanitario, ai pazienti e agli utenti che si sono visti imporre condizioni di isolamento sociale forzato. Tali azioni avevano finalità di prevenzione dell’insorgenza di problematiche psicopatologiche.

Con il passare dei mesi è emerso gradualmente un altro aspetto estremamente rilevante dell’intervento psicologico che riguarda in modo particolare le funzioni cognitive superiori e la loro possibile alterazione come esito diretto dell’infezione da SARS-CoV 2. Cominciano, infatti, ad essere riportate in letteratura gli effetti del virus sul sistema nervoso centrale e le ripercussioni sul livello cognitivo e dunque funzionale tanto che colleghi operanti nei servizi ospedalieri di neuropsicologia vedono un incremento di richieste di valutazioni per pazienti COVID19.

Inoltre, non vanno sottovalutate le conseguenze indirette del lockdown e della fase successiva di ridotta mobilità e alterazione delle normali attività sociali sulle popolazioni “cognitivamente fragili”, che includono sia patologie dello sviluppo (paralisi cerebrali infantili, disturbi dello spettro autistico, sindromi genetiche, ADHD, DSA, etc.) e patologie acquisite (ictus, tumori, traumi cranio-encefalici, encefaliti, sindromi neurodegenerative, demenze, sclerosi, etc.) che anziani a rischio di sviluppare disturbi neurocognitivi (specie MCI e SCD). Infatti, la riduzione delle interazioni sociali e della mobilità ha comportato non solo la sospensione dei trattamenti specifici di abilitazione/riabilitazione cognitiva, ma anche una riduzione delle stimolazioni

ambientali, fondamentali per lo sviluppo delle capacità in bambini cognitivamente fragili e per il mantenimento dell’autonomia funzionale e cognitiva di adulti ed anziani.

I servizi di neuropsicologia, ambulatoriali, nei reparti per acuti e in riabilitazione specialistica, sono già particolarmente carenti sul territorio nazionale; in queste ore stanno vedendo rapidi incrementi di richieste e interventi per due specifici ordini di problema: l’interruzione dell’attività ambulatoriale in neuropsicologia e gli effetti diretti di COVID-19 sulla cognitività. 

Chiusura degli ambulatori di neuropsicologia

Durante il dilagare della pandemia gli ambulatori di valutazione e riabilitazione neuropsicologica hanno avuto una immediata battuta di arresto delle loro attività e questo ha determinato l’interruzione di trattamenti riabilitativi in corso per pazienti con patologie a carattere neurodegenerativo e pazienti in esiti di cerebrolesioni acquisite oltre che per i bambini affetti da patologie neurologiche. E’ noto ed ampiamente condiviso che la riabilitazione delle funzioni cognitive superiori ha una sua comprovata efficacia se l’esercizio terapeutico è inserito all’interno di un progetto riabilitativo ben strutturato che contempli elevata frequenza di interventi e continuità delle sedute. Le evidenze scientifiche mostrano che diversamente, soprattutto nelle fasi post-acute delle patologie acquisite e nelle compromissioni cognitive anche lievi dei soggetti in età di sviluppo oltre che per chi soffre di patologie neurodegenerative, l’interruzione dei trattamenti neuropsicologici porta ad un arresto del miglioramento acquisito, se non addirittura ad una regressione verso i livelli di gravità precedenti l’inizio del trattamento.

Per quanto riguarda invece le attività di valutazione e monitoraggio del deficit cognitivo svolte dai servizi, sappiamo che sempre più frequentemente, grazie all’attenzione che oggi viene posta già dai servizi territoriali e dai medici di medicina generale alle patologie neurodegenerative, vi è una sempre maggiore richiesta per valutazione dei profili cognitivi in dubbio diagnostico di demenza. I servizi, già oberati nelle condizioni ordinarie, a causa della minimale presenza di psicologi formati in ambito neuropsicologico, si vedono ora nella necessità di recuperare le visite programmate pre-lockdown, dovendo fare scelte di investimento di risorse in base alle priorità. Se è necessario effettuare valutazioni, non si potranno svolgere trattamenti riabilitativi; considerato che un trattamento riabilitativo occupa circa la metà del tempo di una valutazione ambulatoriale di base, ciò significa che lo psicologo può vedersi costretto a scegliere di sospendere il trattamento di due pazienti per valutarne uno.

Esiti di COVID-19

La recente letteratura documenta la possibilità di danni al sistema nervoso centrale conseguenti infezione da SARS-CoV-2 (encefalopatia da ipossia, ARDS; encefalopatia necrotizzante acuta, ANE; encefaliti; aumento vulnerabilità per ictus ischemici e emorragici).

I danni cerebrali hanno conseguenze neuropsicologiche (cognitive e comportamentali) con forte impatto sull’autonomia della persona. E’ ipotizzabile che in alcuni casi si possa osservare una rapida regressione dei deficit, mentre in altri i deficit possano persistere per tempi maggiori o cronicizzare. In entrambi i casi, l’individuazione, il monitoraggio e il trattamento neuropsicologico dei deficit diventa rilevante per permettere una corretta programmazione dell’assistenza e una piena comprensione delle conseguenze dell’infezione. La diagnosi neuropsicologica in questo senso ha l’obiettivo di inquadrare il deficit per permettere l’implementazione di programmi di riabilitazione specifici per i danni emersi. Il ruolo dello psicologo con competenze in neuropsicologia è essenziale poiché per sua formazione egli è in grado di elaborare un profilo neuropsicologico che evidenzi i domini cognitivi deficitari e li inquadri ai fini del trattamento (individuando quali sono le aree da trattare prioritariamente), di elaborare un piano di trattamento di riabilitazione individualizzato nel quale sono chiaramente definiti i processi passibili di recupero con il trattamento e quelli che necessitano dell’apprendimento di strategie/strumenti di compenso; inoltre, proprio in virtù della sua specifica formazione, lo psicologo di area neuropsicologica è in grado di gestire le problematiche cognitive e comportamentali all’interno dello specifico contesto familiare e sociale di riferimento per il paziente, garantendo così un più efficace outcome riabilitativo.

Per aumentare le possibilità di valutazione e di intervento, ad oggi fortemente limitate dalla ridotta presenza di neuropsicologi nelle strutture territoriali, si intravede la necessità di elaborare, sulla base delle competenze accademiche e cliniche delle società scientifiche di neuropsicologia, specifici protocolli di screening che permettano un’osservazione pertinente del danno acquisito. Questa possibilità dovrà necessariamente essere adeguata alle necessità cliniche e al tempo stesso compatibile con le risorse strutturali ed economiche che, gioco forza, costituiranno il punto cardine per l’implementazione di attività in questo specifico settore.

Perché il lavoro del neuropsicologo sia adeguatamente mirato al tipo di deficit oggetto di valutazione è opportuno che si eviti la somministrazione di batterie di “efficienza cognitiva” a rapida esecuzione, poiché questo determinerebbe, nella migliore delle ipotesi, una raccolta di indici ad alto rischio di falsa negatività. Uno screening che permetta l’osservazione di funzioni esecutive (flessibilità cognitiva, problem solving, astrazione), memoria a lungo termine, memoria di lavoro e attenzione con test specifici e sensibili invece favorisce il miglior inquadramento possibile dei danni cognitivi e permette un loro corretto monitoraggio, reso necessario anche

dal rischio che gli attuali deficit, in modo analogo a quanto già noto per altre patologie neurologiche, possano costituire un fattore predisponente per l’insorgenza di decadimento cognitivo.

La riabilitazione neuropsicologica, basata sull’avvio di programmi di complessità calibrata sulle difficoltà del paziente, rappresenta la forma di intervento raccomandabile per i deficit cognitivi e comportamentali. Anche in questo caso la possibilità di avvio di una presa in carico riabilitativa, anche a livello ambulatoriale o telematico può essere possibile solo con l’implementazione di servizi di neuropsicologia strutturati in cui lo psicologo possa rispondere, con la competenza che gli è propria, alle necessità della popolazione.

In virtù di queste considerazioni, riteniamo necessario dunque incrementare le risorse nei servizi territoriali in modo da favorire la realizzazione di attività cliniche di valutazioni, riabilitazione e supporto neuropsicologico per questi pazienti.

La presenza di servizi di neuropsicologia con un numero di psicologi congruo permette inoltre la possibilità di monitoraggi su territorio nazionale con osservazioni omogenee, a carattere di ricerca oltre che di mappatura clinica, degli effetti a lungo termine da neuroCOVID.

Alessandra Onida – AISN

Costanza Papagno, Cecilia Guariglia – SINP

Massimiliano Valeriani – SIPF

Matteo Sozzi – SPAN

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